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 Hunafá e politeisti

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مُساهمةموضوع: Hunafá e politeisti   Hunafá e politeisti I_icon_minitimeالسبت سبتمبر 11, 2010 8:02 pm

Muhammad (pace e benedizioni su di lui) divenne adulto nella corrotta e idolatra società coreiscita del tempo, senza condividerne né l’iniquità né il politeismo.
Per quanto riguardava la religione egli era un han"f, apparteneva cioè a quella minoranza araba che non adorava gli idoli e, pur senza seguire un culto preciso, riservava la propria devozione solo ad Allah, il Dio unico il cui culto era stato predicato agli arabi da Abramo e da suo figlio Ismaele (pace su di loro).

Gli hunaf- (plurale di han"f) erano convinti che presto si sarebbe manifestato un nuovo profeta e non c’era ragione perché questi non fosse un arabo. Anche gli Ebrei che vivevano nella penisola arabica condividevano questa attesa; ma, da parte loro, non potevano ammettere che non fosse ebreo.

I politeisti mal tolleravano questi credenti che consideravano stravaganti e vagamente pericolosi, pur nella loro scarsa rilevanza numerica, per il sistema religioso-commerciale su cui si basava il potere e la ricchezza dei Coreisciti della Mecca.

Come abbiamo già visto, pur dimenticando la purezza del culto abramico, gli arabi continuavano ad essere irresistibilmente
attratti dalla Ka’ba. Il santuario dell’Hijaz era al centro della loro vita religiosa e tutte le tribù approfittavano dei mesi sacri, nei quali la tregua rendeva i viaggi relativamente sicuri, per recarvisi in pellegrinaggio. Questi avvenimenti periodici erano altrettante occasioni per commerciare, combinare matrimoni, stipulare alleanze con le altre tribù convenute.

I Coreisciti da parte loro traevano il massimo profitto dalla situazione. La posizione della loro città posta tra Mediterraneo e Oceano Indiano, Golfo Persico e Mar Rosso, li aveva messi in condizione di diventare un nodo commerciale tra i più importanti del tempo. Essi si rifornivano di merci provenienti da tutto il bacino mediterraneo organizzando una carovana estiva verso Siria e Palestina e una invernale verso lo Yemen, cui fa accenno il Corano nella sura dei Quraysh: "Per il patto dei Coreisciti , per il loro patto delle carovane invernali ed estive. Adorino dunque il Signore di questa Casa , Colui che li ha preservati dalla fame e li ha messi al riparo da [ogni] timore". (Corano CVI)
Il loro prestigio come custodi della Casa era di gran lunga il più alto tra tutti gli abitanti della penisola arabica e le grandi fiere che si svolgevano in concomitanza con gli arrivi dei pellegrini arricchivano i maggiori clan della città.

Con il passare del tempo le tribù arabe avevano portato alla Mecca i simulacri dei loro dèi locali, e con l’interessato consenso dei Coreisciti guardiani della Ka’ba, li avevano posti nel sacro recinto e nell’interno stesso della Casa. Erano ben trecentosessanta gli idoli che contaminavano, in quei tempi, la purezza della Casa di Allah.

Si può ben capire quindi il fastidio e il sospetto con cui venivano considerati coloro che rifiutavano il politeismo e che, in qualche modo, tendevano ad una purificazione del culto che avrebbe fatto a meno di tutti gli "dèi".

Una volta accettato l’idolo di una tribù o di un clan all’interno del santuario, non lo si sarebbe
potuto espellere senza provocare un grave incidente con coloro che ne avevano patrocinato l’ammissione nel pantheon politeista. Così ragionavano i Coreisciti che, materialisti e pragmatici, non volevano rischiare la minima frizione con i loro clienti, figuriamoci uno scontro aperto e generalizzato. Sarebbe stata la fine del loro potere e della loro ricchezza. Nella loro miscredente miopia facevano tutto quel che potevano per ostacolare la diffusione del credo degli hunaf- e cercavano di isolarli, boicottarli o maltrattarli a seconda della loro importanza sociale e delle protezioni tribali di cui godevano.

Le conseguenze del politeismo e del sistema di potere tribale erano molto gravi anche sul piano della morale individuale e sociale.

Succedeva spesso che, approfittando della ricchezza e di un potente clan alle spalle, qualche notabile si lasciasse andare alle peggiori vessazioni nei confronti dei più deboli, degli stranieri, di chi insomma non poteva mettere in campo una protezione efficace.


Per mettere un freno a tali prevaricazioni, alcuni nobili coreisciti, tra i quali il giovane Muhammad, decisero di unirsi in un patto cavalleresco per la difesa dei deboli e degli oppressi, che chiamarono Hilf al Fudul. Per suggellare il loro accordo decisero di sacralizzarlo di fronte alla Ka’ba. Versarono dell’acqua sulla Pietra Nera che si trova incastonata sull’angolo orientale della Sacra Casa e poi la bevvero giurando che sarebbero accorsi come un sol uomo alla richiesta dell’oppresso e che avrebbero combattuto l’ingiustizia da qualsiasi parte provenisse, anche da un membro della loro stessa tribù. La storia ricorda alcuni episodi in cui il loro intervento riuscì a ripristinare il buon diritto contro la prevaricazione di qualche potente. Tra questi ultimi lo stesso Abu Jahl che sarebbe in seguito diventato uno dei più acerrimi nemici dell’Inviato di Allah e dell’Islàm.
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